(Adnkronos) –
Confermate in Appello le condanne per le minacce rivolte nel 2008 allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione, durante il processo di secondo grado ‘Spartacus’ a Napoli. Con la sentenza emessa nel pomeriggio oggi, lunedì 14 luglio, dai giudici della Prima sezione della Corte di Appello di Roma è stata ribadita la decisione di primo grado del 24 maggio 2021 che ha riconosciuto le minacce aggravate dal metodo mafioso condannando il boss del clan dei Casalesi Bidognetti a un anno e sei mesi e l’avvocato Michele Santonastaso a un anno e due mesi.  

“La condotta ascritta ai due imputati è inserita nel contesto di criminalità organizzata proprio della cosca dei Casalesi di cui Bidognetti era capo. La minaccia e l’intimidazione rivolta platealmente contro i due giornalisti fu espressione di una precisa strategia ideata dallo stesso capomafia, il cui interesse era quello di agevolare ed alimentare il potere di controllo sul territorio esercitato dal clan e di rafforzarne il potere”, avevano scritto i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza di primo grado. Nel procedimento sono parte civile la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo, e l’Ordine dei giornalisti della Campania.  

“Mi hanno rubato la vita”. Così Roberto Saviano dopo la sentenza d’Appello a Roma. Alla lettura della sentenza Saviano ha abbracciato in lacrime il suo legale, l’avvocato Antonio Nobile, mentre dal pubblico presente in aula è partito un applauso. “Sedici anni di processo non sono una vittoria per nessuno ma ho la dimostrazione che la camorra in un’aula di tribunale, pubblicamente ha dato la sua interpretazione: che è l’informazione a mettergli paura. Ora abbiamo la prova ufficiale in questo secondo grado che dei boss con i loro avvocati firmarono un appello dove – sottolinea Saviano – misero nel mirino chi raccontava il potere criminale. E non attaccarono la politica ma il giornalismo insinuando che avrebbero ritenuto i giornalisti, e fu fatto il mio nome e quello di Rosaria Capacchione, i responsabili delle loro condanne. Non era mai successo in un’aula del tribunale, in nessuna parte del mondo”. 

Questa sentenza è un punto fermo. Sono diciassette anni e mezzo di vita passati a pensare a quel documento letto in aula, al significato, alle ripercussioni. È un pezzo di vita, un pezzo di vita importante che ha condizionato l’esistenza professionale”. Così all’Adnkronos la giornalista Rosaria Capacchione dopo la sentenza d’Appello. Una settima dopo la lettura del ‘proclama’ Rosaria Capacchione è finita sotto scorta.  

“C’era stata una strategia che aveva individuato in maniera anomala in giornalisti, scrittori, magistrati, i ‘responsabili’ di quegli ergastoli nel processo Spartacus. Dopo diciassette anni e mezzo – dice la giornalista – è un pezzo di storia che si ricostruisce”.