(Adnkronos) – L’offensiva di Israele contro l’Iran, “chiaramente sostenuta dagli Stati Uniti nell’ottica di spingere Teheran a tornare al tavolo dei negoziati in posizione di debolezza, segna un punto di svolta nella crisi regionale”. Lo ritiene il quotidiano Al-Araby Al-Jadeed, vicino all’autorità del Qatar, uno dei pochi Paesi nel Golfo, insieme all’Oman, che mantiene buoni rapporti con Teheran. L’articolo descrive l’Iran come un Paese “senza alleati chiamato a fronteggiare da solo uno dei momenti più critici della sua storia recente”. 

 

L’Iran – secondo Al-Araby Al-Jadeed – si ritrova privo del consueto scudo offerto dal cosiddetto ‘Asse della resistenza’, reso inefficace da una serie di colpi sistematici israeliani che hanno indebolito Hezbollah in Libano. La situazione si è ulteriormente complicata con il crollo del regime siriano, da sempre alleato strategico di Teheran. La nuova leadership a Damasco, ostile all’Iran, ha accelerato l’uscita delle milizie pro-iraniane dallo scenario siriano. In Iraq, il governo tenta di mantenere una posizione neutrale nonostante le minacce delle milizie legate a Teheran. Anche i ribelli Houthi in Yemen, nonostante continuino a lanciare razzi verso Israele, hanno un impatto limitato e sembrano incapaci di modificare significativamente l’equilibrio strategico a favore dell’Iran. 

Con l’indebolimento del suo sistema di difesa regionale, Teheran è ora costretta a rispondere direttamente agli attacchi, senza più poter contare su alleati efficaci. Questo conflitto diventa così un test cruciale per valutare la capacità di Teheran di resistere da sola di fronte alla superiorità militare e tecnologica israeliana. Israele -sostiene il quotidiano edito a Londra- ha dimostrato di poter colpire persino in profondità nel territorio iraniano, compiendo attacchi dall’interno e operazioni mirate che disorientano la leadership iraniana. 

Sul fronte internazionale – suggerisce l’articolo – Teheran appare sempre più isolata. Mentre Israele gode del pieno sostegno di Stati Uniti e Regno Unito, e riceve segnali favorevoli anche dalla Germania, l’Iran può contare solo su timide condanne verbali da parte di Cina, Russia e Turchia, senza un concreto appoggio strategico. 

Le controffensive iraniane hanno sì dimostrato una certa capacità di colpire obiettivi in Israele, ma i danni inflitti finora rientrano ancora, secondo le analisi militari israeliane, in una soglia accettabile. 

Nel frattempo, crescono le preoccupazioni nei Paesi del Golfo per l’espansionismo israeliano: molti osservano con “inquietudine” l’evoluzione del conflitto, temendo che Israele, una volta piegata l’Iran, “imponga la sua egemonia regionale”. C’è chi teme che l’escalation, “iniziata a Gaza e proseguita con colpi sempre più duri a Beirut, Damasco e ora Teheran, non si fermerà se Israele riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi”.  

Nonostante gli appelli internazionali a una soluzione diplomatica per limitare i danni e contenere l’espansione del conflitto, Tel Aviv non mostra segnali di voler rallentare l’offensiva, complice anche l’atteggiamento attendista di Washington, che valuta positivamente l’indebolimento di Teheran. 

 

La Russia, pur mantenendo una partnership strategica con l’Iran, si limita a una condanna formale degli attacchi israeliani. L’accordo di cooperazione firmato a gennaio tra Mosca e Teheran, infatti, non prevede obblighi di assistenza militare. Il Cremlino cerca piuttosto un equilibrio tra il sostegno a Teheran e i propri interessi con Israele, proponendosi come mediatore per evitare un’escalation che metterebbe a rischio la sua presenza nella regione. 

Anche la Cina si mantiene su una linea prudente, esprimendo un generico sostegno all’uso della diplomazia ma evitando qualsiasi coinvolgimento diretto. Per Pechino, un conflitto prolungato potrebbe avere ripercussioni economiche disastrose, soprattutto se Teheran decidesse di bloccare i principali corridoi marittimi del petrolio. 

Persino all’interno del gruppo BRICS, dove l’Iran ha recentemente ottenuto la membership, le possibilità di ricevere un supporto concreto sono minime: si tratta infatti di un’alleanza eterogenea e priva di una visione politica comune. E paesi come l’India, alleata di Israele, non hanno interesse ad appoggiare Teheran in questo confronto.  

Anche il presunto sostegno del Pakistan si è rivelato inconsistente: nonostante dichiarazioni simboliche a favore dell’Iran, Islamabad non sembra disposta a offrire aiuti concreti, né militari né logistici, in un conflitto che potrebbe travolgerla sul piano economico e politico. 

Infine, la Turchia, pur condannando l’offensiva israeliana con toni diplomatici, preferisce restare distante dal conflitto armato, temendo un crollo dell’Iran che potrebbe generare instabilità e ondate migratorie verso i suoi confini. Ankara mantiene aperti i canali con Israele, tentando di giocare un ruolo da equilibratore nella regione.