(Adnkronos) – Spiagge bianche, mare cristallino, palme, resort di lusso. Interrogando i motori di ricerca sulla Repubblica Dominicana, il risultato è una sequenza di immagini da sogno. Cosa c’è dietro la cartolina? Negli angoli più bui, storie di povertà e sofferenza estreme. “Nella parte interna del Paese, nelle piantagioni di canna da zucchero, per esempio lavorano haitiani” fuggiti dal loro Paese (che si trova nell’altra metà dell’isola caraibica), provato da anni in bilico fra guerra civile e scorribande di gruppi armati. “Questi migranti, però, non trovano una vita migliore, sono spesso ridotti in schiavitù. E i loro figli che nascono qui non hanno documenti, né diritti. Li chiamano ‘las palomas’, le colombe bianche, perché non sono riconosciuti all’anagrafe, sono immigrati illegali che non hanno il diritto di andare a scuola o di essere curati. Noi aiutiamo, fra gli altri, queste persone a trovare una loro identità e a vivere nel rispetto delle regole del Paese nel modo migliore possibile”, spiega all’Adnkronos Salute Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava – Nph Italia.
 

In questi giorni nella Casa dell’organizzazione umanitaria Nph che accoglie i bambini in difficoltà nella Repubblica Dominicana c’è un ospite speciale: è l’attore Raoul Bova, impegnato in un viaggio del cuore, organizzato in occasione dei 25 anni della Fondazione Francesca Rava. “Tempo di bilanci, inevitabilmente ci guardiamo indietro – riflette Mariavittoria Rava – E io stessa non riesco a credere a quello che abbiamo fatto. La cosa bella che mi auguro rimanga uguale per il futuro è che non è mai cambiata la motivazione che ci anima, a distanza di 25 anni dalla morte di mia sorella”, nel 1999 all’età di 26 anni in un incidente stradale, “che è stato il dolore che mi ha smosso e ha causato poi una serie di altre coincidenze che ci portano fino a qui. La invoco spesso quando sono un po’ sopraffatta dalle difficoltà, le chiedo tanto aiuto. Era una persona molto semplice, umile, ma molto di azione. Bella, piena di vita. Me la figuro che ride e mi prende in giro: ‘Hai visto che scherzo ti ho giocato?’, ma nello stesso tempo mi direbbe: ‘Non pensare a niente, vai avanti, fai, e non sbagli'”.  

“Oggi avrebbe 53 anni – ragiona – La sento molto vicina. E spero che lo stesso spirito di amore, passione e verità ci accompagni per i prossimi 25 anni, perché è quello che ‘contagia’ tante persone portandole ad aiutarci. Da soli non si fa niente”. Anche Raoul Bova “è arrivato a noi per puro caso anni fa”, ricorda Rava. “Avevamo un’iniziativa con la Fabbrica del sorriso che ci abbinava un attore, una persona famosa. Ma capitò una defezione all’ultimo minuto. Quel giorno eravamo in Fondazione fino a tarda notte e io, per risollevare un po’ gli animi, proposi: ragazze, chi vorreste come testimonial? Per scherzo facemmo una votazione. Risultato: all’unanimità Raoul Bova. Ci ridemmo sopra, ma il giorno dopo chiamò Mediaset dicendo di aver trovato la persona giusta per noi: era proprio Raoul Bova. In Fondazione erano tutti senza parole. A noi succedono anche queste cose un po’ leggere, ma io credo che l’universo abbia un’energia speciale che alla fine ti ascolta. E quindi anche Raoul, poveretto, è rimasto incastrato nella rete della Fondazione”, sorride.  

Bova in realtà “da anni è nostro volontario testimonial – racconta Rava – Ci ha aiutato recentemente a Roma in un progetto che abbiamo contro l’abbandono neonatale. Era venuto dieci anni fa con me in Haiti per un viaggio umanitario ed era rimasto molto toccato dall’esperienza. L’ultima volta che l’ho visto mi ha detto che gli sarebbe piaciuto ritornare, ma ad Haiti è impossibile adesso, la situazione non lo permette. Si è deciso di andare in Repubblica Dominicana, che è dall’altra parte dell’isola, dove noi aiutiamo molti bambini. Abbiamo dunque messo insieme il nostro desiderio di ritornare nelle Case, di testimoniare, con il desiderio di Raul di ritornare a fare questa esperienza”.  

“In generale, non solo fra gli haitiani, ma anche fra i dominicani c’è povertà – continua la presidente della Fondazione – La nostra Casa Nph sorge a San Pedro de Macoris, che è una zona dove ci sono ‘bateyes’ e persone che vivono in condizioni di disagio estremo. Nelle piantagioni guadagnano anche meno di 10 dollari al mese, le persone in queste situazioni si trovano a mangiare una volta ogni due giorni e male, non si possono pagare le cure mediche. Il governo stesso è molto attivo nell’aiutare e noi cerchiamo di fare la nostra parte. L’obiettivo per i bambini nella Casa Nph, che magari non hanno i genitori, è quello di dare loro un mestiere per il futuro, che li renda indipendenti, in modo che possano da grandi farsi la loro famiglia, vivere nel loro Paese. Sradicarli sarebbe la cosa peggiore. Molti di questi ragazzi poi tornano a noi da adulti con spirito di gratitudine. Per esempio, il dentista che viene nella Casa a curare i bambini è un ex ‘pequeño’ della struttura che è cresciuto, si è diplomato, e viene gratuitamente a curare i bambini. C’è un’azienda che ci dona l’energia elettrica perché c’è un altro ex pequeño che è andato a lavorare lì. E’ bello questo amore che ritorna”.  

“E noi volevamo ancora una volta far toccare con mano ai nostri donatori i risultati di quello che abbiamo fatto fino ad oggi – prosegue – Abbiamo pensato di andare in una Casa Nph dove aiutiamo i bambini anche grazie all’adozione a distanza. La missione di Raoul Bova sarà proprio restituire ai ‘padrini’ questo racconto, testimoniare come vivono i nostri bambini, come stanno, da dove vengono. E’ un momento storico in cui ci sono emergenze e guerre dappertutto, e le persone in generale sono già sopraffatte da ciò che succede più vicino a loro. Non è facile portare l’attenzione su realtà più lontane, raramente menzionate dalle cronache. Da anni facciamo questo con esercizio di informazione su Haiti, per esempio, che è uno dei Paesi che aiutiamo, ma che fino a non troppo tempo fa non era neanche nei libri di geografia italiani. Dopo il terribile terremoto” del 2010 si sono accesi un po’ i riflettori, “ma tuttora alcuni lo confondono con Tahiti, pensano sia un posto meraviglioso”.  

“E’ faticoso – ammette Rava – ma abbiamo anche la fortuna di avere tantissimi padrini di adozione a distanza, persone di tutte le età che continuano ad aiutare i nostri bambini. Attraverso una donazione che è meno di un caffè al giorno viene assegnato un piccolo da sostenere, con la sua storia, la sua foto. Il padrino incomincia un sostegno che è anche poi un rapporto di affetto. I bambini scrivono delle letterine, mandano delle cartoline, c’è questa stima. Quando arriva la pagella la mandiamo ai padrini, se ci sono brutti voti diciamo di incoraggiarli, perché quasi sempre non succede perché non studiano, ma perché magari hanno incominciato ad andare a scuola a 11 anni e studiano quello che un bambino fa a 6 anni, perché hanno vissuto nella strada”.  

Poi d’estate, continua, “organizziamo i campi di volontariato: due settimane in cui si lavora insieme al personale nei campi, nella cucina, nella scuola, nella mensa e si gioca coi bambini. Anche Raoul dorme all’interno della Casa, mangia con i bambini. Vedrà come funziona: qui – spiega Rava – le divise scolastiche dei bambini le cuciono i ragazzi più grandi, che imparano a diventare sarti; il cibo viene coltivato all’interno della Casa dai bambini stessi che imparano a prendersi cura dei campi; le tortillas vengono fatte all’interno della struttura; per le cure mediche c’è una clinica medica dove vengono pagati dei medici locali. E ogni adozione a distanza aiuta il bambino, ma anche tutta la comunità. I volontari con lo stesso spirito trasferiscono competenze: i medici vanno ad aiutare i colleghi locali per avere delle tecniche più moderne, gli insegnanti fanno lo stesso, senza mai sostituirsi. E molto bello”. 

Negli anni “tanti padrini hanno incontrato i bimbi che hanno aiutato. Ho portato non solo giovani, ma anche persone in età avanzata. Per esempio, due signori di 80 anni che a Natale hanno lasciato la loro famiglia, i loro nipotini di sangue, per venire a conoscere i ‘nipotini’ haitiani. E’ stato un gesto di generosità e altruismo incredibile. Anche io ho sempre portato i miei figli. La cosa che ti insegna tutto questo è che tu aiuti qualcuno che è esattamente come te, soltanto è nato in un posto sfortunato e povero. Ti dà il senso del rispetto per tutti, è qualcosa che cambia il mondo e cambia il cuore delle persone, è trasformativa. In questi 25 anni abbiamo riunito davvero un esercito di ambasciatori del cuore. Sono loro che parlano per noi”. (di Lucia Scopelliti)