(Adnkronos) – “Sono più di due anni che la mia vita è stata stravolta da accuse false e infondate. Io vivo in un incubo, mia figlia a 9 anni mi chiede spiegazioni perché mi sente piangere in bagno. Ora basta, voglio reagire e dimostrare la mia innocenza in aula”. A parlare all’Adnkronos è Andrea Pellegrini, il poliziotto all’epoca dei fatti in servizio al distretto XIV Primavalle accusato di tortura nei confronti di Hasib Omerovic, il 41enne bosniaco precipitato dalla finestra dell’abitazione di via Gerolamo Aleandro, a Roma, il 25 luglio 2022 durante un’attività di servizio. Il prossimo 25 ottobre, insieme ai colleghi Alessandro Sicuranza e Maria Rosa Natale, dovrà comparire in udienza preliminare anche con l’accusa di falso.  

 

“Quel giorno ero di turno la mattina – ricorda – il mio dirigente mi ha chiesto di identificare un nomade che stava creando preoccupazione tra i residenti, un personaggio noto nel quartiere perché andava in giro per i secchioni della spazzatura e molestava le persone. Non avendo ottenuto informazioni precise su di lui, insieme al collega Fabrizio Ferrari siamo riusciti a risalire all’appartamento dove viveva e, con Alessandro Sicuranza e Maria Rosa Natale arrivati in ausilio, siamo entrati. All’interno c’era anche una ragazza, che abbiamo poi scoperto essere la sorella di Hasib, e abbiamo chiesto alla collega che era insieme a me, a Ferrari e Sicuranza, di restarle accanto durante le operazioni all’interno dell’abitazione. Non vedendo altri, e poiché ci avevano detto che c’era un bambino in casa, ho fatto da solo un giro nell’appartamento”.  

 

“Da subito, dovendo procedere alla sua identificazione, ho scattato diverse foto a Omerovic durante la permanenza in casa. Sono proprio queste, tutte con data e ora, che più di ogni cosa mi auguro potranno documentare la mia innocenza”. Le foto, consegnate all’Adnkronos dallo stesso Pellegrini che le ha scattate, partono dal citofono del palazzo a Primavalle: sono le 12.13 del 25 luglio 2022; un minuto più tardi, Omerovic è in piedi, a torso nudo e con i pantaloni, come descritto anche dagli altri tre poliziotti quella mattina in casa. “Ha una sigaretta accesa nella mano sinistra, l’altra la porta vicina al volto – fa notare l’agente accusato di averlo torturato – Non appare sconvolto né sono visibili segni di presunti schiaffi. Alle 12.16, in un atteggiamento tranquillo e con il mio collega accanto, mostra i documenti chiesti. Tra lo scatto delle 12,16, per 4 minuti circa non ho avuto contatti con Omerovic e solo quando ho aperto la porta i due colleghi sono entrati in stanza con lui e si è seduto. Nessuno lo ha forzato, non era agitato. La storia è stata raccontata come se fossimo stati ore nell’appartamento, quando dalle foto è evidente che ci siamo rimasti in tutto 9 minuti”.  

E ancora: “Alle 12.21 il mio telefono lo immortala seduto nella sedia della stanza che ho aperto con una spallata, semplicemente perché era chiusa e ricordo che ci avevano segnalato la presenza di un bambino. Non è legato, non ha un graffio, niente – continua Pellegrini – Lo avevo fatto sedere con l’intenzione di tranquillizzarlo. E’ ben visibile alle sue spalle la parete dipinta di bianco e rosso, la stessa che negli articoli successivi ai fatti era stata descritta come imbrattata di sangue. Io e gli altri due colleghi siamo usciti da quella stanza, nel salone l’agente Natale che era rimasta con la sorella dell’uomo ci ha riferito dei lividi sulle braccia della ragazza. Mentre cercavamo di capire la situazione, abbiamo sentito il rumore della tapparella che si alzava: Ferrari è corso nella stanza dove si trovava Omerovic e lo ha visto gettarsi dalla finestra. Il tempo di scendere e, alle 12.25, lo immortalo coperto di sangue, dopo la caduta da nove metri, prima di caracollare a terra, vinto dall’emorragia che lo avrebbe fatto finire in coma. Gli scatti ravvicinati raccontano meglio di qualsiasi difesa che mai avrei potuto aggredire Omerovic, che pur terrorizzato dalle divise, come ci aveva detto la sorella e poi la madre, appare sereno e tranquillo”. 

 

Nelle scorse settimane il gip di Roma ha accolto la richiesta di patteggiamento a undici mesi e sedici giorni per Fabrizio Ferrari, il poliziotto che ha collaborato alle indagini, la cui posizione era stata stralciata, dopo l’ok già avuto dalla procura che ha riconosciuto le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante. “Per trent’anni ho vestito la divisa della Polizia di Stato con devozione, non ho mai avuto un procedimento disciplinare per violenze durante un arresto, ho arrestato la gente peggiore che mai si potrebbe incontrare e non ho mai alzato un dito contro nessuno. Io vivo in un incubo, a darmi forza la mia famiglia, il mio bimbo nato pochi giorni prima dei fatti e gli amici che mi stanno aiutando economicamente, considerando che non ho più il mio lavoro. Da due anni percepisco solo un assegno alimentare che non mi permette di condurre una vita serena, né per me né per la mia famiglia, sono due anni che se non fosse per la gentilezza del proprietario di casa che ha fiducia in me e conoscendomi crede nella mia innocenza e non mi chiede un soldo di affitto, io non avrei nemmeno un tetto”. 

“Il collega Fabrizio Ferrari, che mi accusa, la sera stessa dell’intervento aveva scritto la consueta annotazione che tutti noi abbiamo sottoscritto. Non capisco perché si sia fatto riferimento a una mia minaccia con un coltello. Perfino Sicuranza, che era impegnato nel servizio con noi e che è suo amico anche in privato, interrogato dal pm, ha negato l’esistenza di un coltello, specificando che Omerovic non è stato toccato, dicendosi ‘sbalordito’ riguardo alle dichiarazioni del collega in merito alla legatura dei polsi con il filo di un ventilatore. Spero che il giudice prenda in considerazione tutto questo, io non ho mai pensato di patteggiare né tantomeno di arrendermi. Voglio dimostrare la mia innocenza e far valere la verità in aula. Perché io, nonostante tutto, alla giustizia credo ancora”.  

(di Silvia Mancinelli)